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CISLAGO – SARONNO “Vorrei aggiungere che noi non finiremo mai di ringraziare i medici ed infermieri dell’ospedale di Saronno. Non ci hanno mai fatto sentire soli e sappiamo che è in buone mani. Oggi hanno fatto l’impossibile per farci sentire 30 secondi la sua voce. Un ospedale esemplare sia per la grandissima professionalità, sia per l’umanità dimostrarci. Dobbiamo a loro l’esito positivo di questa situazione”.

Così una cislaghese ha commentato la pubblicazione dell’articolo in cui racconta la lotta del padre con il coronavirus pubblicato dal sito www.atuttamamma.net . Si tratta di un testo molto dettagliato in cui la cislaghese racconta come suo padre Salvatore, 53enne abbia contratto il Covid 19 malgrado fosse sano e avesse fatto poco tempo prima un check up.

Ecco il racconto di Veronica della lotta del padre e dell’intera famiglia al coronavirus

Tutto è iniziato il 10 marzo. Al rientro dal lavoro, mio papà aveva brividi di freddo. Lì per lí non ci fa caso. Io però inizio ad avere qualche timore. In Lombardia la paura del virus era reale già da qualche settimana e io con mio marito e le mie bimbe avevamo attuato tutte le forme di distanziamento. Io lavoravo già in smartworking e uscivo solo per la spesa e qualche passeggiatina con il cane, ma in posti isolatissimi. Mio papà invece se ne fregava. Andava a lavoro al ristorante, a fare spesa per entrambi i locali che gestisce, aveva un contatto diretto e costante con i clienti: strette di mano, abbracci. Noi lo ammonivamo, ma lui ripeteva che non avrebbe mai preso il Coronavirus, che lui era già immune. Io gli ripetevo di lavarsi spesso le mani, di usare i guanti e lui mi guardava come per darmi dell’esagerata. Si sentiva ed era sanissimo, vigoroso. Le dirò di più, tutta la mia famiglia gode ottima salute. Mi crede se le dico che nessuno di noi ha mai subito un intervento o un’ospedalizzazione se non le donne per partorire?”.Il pomeriggio del giorno dopo inizia la febbre con picchi di 39,5. Io e mia sorella all’inizio pensavamo avesse preso l’influenza che avevano avuto le bimbe una decina di giorni prima. Non capivamo però perché papà non reagisse all’antipiretico. La febbre scendeva di poco per poi risalire. Chiamiamo il medico che prescrive l’antibiotico, che però non da alcun effetto.

LA PAURA CHE SIA COVID
Dopo quattro giorni pensiamo seriamente che ci sia di mezzo il Covid. Iniziamo a chiamare i numeri verdi dell’emergenza ma prendere la linea è un’impresa. Papà aveva la febbre a quaranta, non riusciva ad alzarsi per andare in bagno e non voleva più alimentarsi. Abbiamo chiamato da cinque telefoni per 24 ore e non abbiamo mai avuto risposta. A quel punto contatto sui social un assessore del nostro comune che riesce a sbloccare la situazione. Veniamo contattato telefonicamente dall’Ats Insubria, descriviamo i sintomi di papà e in quel momento scatta la quarantena forzata per tutti, compreso mio cognato che si trovava lì per caso. Ci dicono, al telefono, che saremo in sorveglianza attiva e che non dobbiamo muoverci di casa. Per papà, che intanto stava sempre peggio, non ci hanno proposto né ricovero né il tampone. Ci hanno detto che con il solo sospetto, una volta in ospedale avrebbe rischiato di beccare il Covid. Paradossi che però non sono un’eccezione in questa emergenza.
Al quinto giorno papà non può piú alzarsi dal letto e non mangia più. Preoccupatissimi iniziamo a chiamare il curante e la guardia medica. Nessuno però è disposto a venire a visitare un caso sospetto di Covid. Ci viene in mente il piano b, facciamo venire da Milano un medico a pagamento (una parcella non da poco). La diagnosi è quella di bronchite. Nuova terapia, un altro antibiotico ma nulla. La situazione va sempre peggio. Il giorno dopo si sveglia e inizia ad avere anche vomito e dissenteria. Nel frattempo noi, grazie alla Protezione civile locale e a una farmacia, siamo riusciti ad avere un saturimetro, che ci ha permesso di capire l’urgenza. Al nono giorno di calvario inizia a scendere la saturazione a 94. Papà non ha mai avuto un solo colpo di tosse. In tutto ciò abbiamo isolato mia mamma dall’accudimento di mio padre, pensando che fosse più saggio che io e mia sorella, in quanto più giovani, provvedessimo noi alle cure. Per inciso, dal momento in cui mio padre è diventato un sospetto Covid, siamo stati muniti solo di quattro mascherine chirurgiche per tutto il periodo.

IL RICOVERO
Al decimo giorno io e mia sorella siamo risolute: papà va ricoverato. Chiamiamo il 118, viene anche il medico, erano tutti con le tute. Ci fanno allontanare in altra stanza e senza dirci nulla, lo portano via subito perché aveva la saturazione a 85. L’ultima immagine che ho di papà è sofferente, ma assolutamente cosciente.
Lo hanno ricoverato in condizioni critiche all’ospedale di Saronno. In questa malattia atroce, quando portano via un paziente in ambulanza devi solo aspettare. Non si può andare in ospedale nè chiamare le volte che si vorrebbe. Al telefonino papà non rispondeva più perché evidentemente non ne aveva la forza. Il giorno dopo sappiamo che gli avevano messo il casco chip up. Purtroppo però le sue condizioni erano gravi e il casco non sortiva gli scambi gassosi sperati. Da lí la notizia che non avremmo voluto avere. Era il 21 mattina e il medico al telefono ci dice che la situazione è peggiorata e che lo avrebbero intubato. La sua saturazione era ormai ai limiti della sopravvivenza. È stato intubato tre giorni, che per noi sono stati infiniti.

LE PRIME BUONE NOTIZIE
Dopo tutti questi giorni finalmente oggi (ieri ndr) gli ho parlato al telefono. Aveva una voce irriconoscibile ma mi è bastato sentirlo per saltare di gioia. I medici cautamente hanno detto che la situazione non è più grave ma stabile. È estubato ed in terapia con il casco, si alimenta ancora con le flebo in vena e con accesso gastrico. La strada è ancora lunga ma oggi siamo molto motivati.
Ci ha chiesto se eravamo stati anche noi infettati. Mia mamma è stata la sola con sintomi gestibili a casa, ma non lo abbiamo detto a papà. Adesso deve solo pensare a guarire.

“Il Covid – conclude Veronica – è una malattia difficilmente evitabile perché invisibile, nessuno la conosce e non c’è una terapia univoca. L’unica arma è il distanziamento e stare a casa”

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