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VARESE – Con le quotazioni dei maiali quasi dimezzate dall’inizio della pandemia e scese a poco più di un euro al chilo, anche i produttori del comprensorio prealpino non dormono sonni tranquilli: l’allevamento suinicolo, pur di nicchia, è infatti alla base di una radicata tradizione che vede il territorio molto apprezzato per la produzione di salami (tra cui il “prealpino varesino”), prosciutti e cotechini secondo consolidate metodologie. Ad evidenziare l’inquietudine del comparto è la Coldiretti prealpina attraverso il presidente Fernando Fiori: “Siamo alle prese con una situazione divenuta insostenibile: le spese sono lievitate e i ricavi calano, gli allevatori non vedono ripagati neppure i costi di produzione. Gli aumenti sono considerevoli riguardo ai costi per l’alimentazione degli animali, dal mais alla soia, che hanno registrato rincari fino al 26% mettendo in difficoltà le stalle”.

A preoccupare è, altresì, l’invasione di prodotto dall’estero: in Italia arrivano ogni mese circa 4,7 milioni di cosce straniere utilizzate per ottenere prosciutti da spacciare come made in Italy. Non è infatti ancora obbligatorio ancora – denuncia la Coldiretti – indicare la provenienza della carne dei salumi in etichetta come richiesto dal 93% degli italiani che ritengono importante conoscere l’origine degli alimenti per dire finalmente basta agli inganni: “Due prosciutti su tre venduti in Italia – conclude Fiori – sono ottenuti da maiali stranieri senza alcuna evidenziazione in etichetta. Servono interventi mirati e urgenti perché siamo al punto di non ritorno con una situazione che rischia di compromettere per sempre la potenzialità produttiva nazionale con una destrutturazione degli allevamenti difficilmente recuperabile che mette a rischio l’essenza stessa di molti tesori agroalimentari del made in Italy, comprese le produzioni del nostro territorio”.

05062020

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